Il punto di partenza per scorrere le tecniche di lavorazione del vetro artistico è sicuramente il periodo romano, anche se le prime tecniche e la loro evoluzione sono situate nella parte orientale del Mediterraneo, da cui arrivano i più antichi reperti in vetro fino ad oggi conosciuti.
La composizione della miscela era più semplice e meno raffinata in quanto la conoscenza dei materiali era prevalentemente empirica. Componenti primari erano vetrificanti e fondenti, ovvero silicati, alcali e carbonati, e i secondari i coloranti e il rottame di vetro.
I primi si ottenevano dalla sabbia o da minerali in pezzi, come arenaria e quarziti per quanto riguarda i silicati, e dalle ceneri di combustione di vegetali o dalla soda minerale per quanto riguarda gli alcali: i gusci delle conchiglie naturalmente presenti nelle sabbie fornivano il componente calcico necessario per rendere il vetro meno solubile in acqua. I componenti secondari erano vari ossidi, metallici aggiunti per modificare la colorazione del vetro.
Per quanto riguarda le tecniche di lavorazione, l’invenzione della soffiatura (I secolo a.C. circa) divide in due aree le tecniche di produzione.
Prima della soffiatura venivano utilizzate tecniche a caldo, mediante le quali la cavità di un contenitore veniva realizzata sfruttando una forma su cui il pezzo veniva modellato.
La soffiatura ha rivoluzionato la produzione degli oggetti in vetro; infatti, permettendo una maggior velocità di lavorazione, ha portato alla diffusione dell’uso degli oggetti in vetro, che fino a quel momento erano utilizzati esclusivamente dalla élite che poteva permettersene l’acquisto.
Il vetraio dopo aver disegnato una bozza dell’oggetto, allo scopo di definire le proporzioni, preleva con la canna un bolo di vetro dalla fusione e la mantiene in rotazione su una piastra metallica, al tempo detta “bronzin”. Questa fase è molto importante per la successiva soffiatura perché conferisce al vetro le caratteristiche di compattezza ed omogeneità necessarie per la corretta distensione delle pareti. Il bolo quindi viene allungato con apposite pinze, sempre facendolo ruotare attaccato alla canna in appoggio su sostegni del banco di lavoro, fino a che arriva il momento di iniziare la soffiatura: questa viene realizzata alternandola al lavoro di modellazione con strumenti secondo tempistiche e modalità che dipendono dall’oggetto che si deve produrre. Una volta realizzato il “contenitore” soffiato, lo si avvia alla ricottura e nel frattempo il maestro vetraio inizia la lavorazione di eventuali manici e gambi. Ultimati, gambi e manici vengono attaccati a caldo sul corpo del contenitore, controllando allineamento e simmetria del complesso, quindi l’oggetto viene definitivamente sottoposto a ricottura.
La tecnica di soffiatura poteva essere variata utilizzando stampi: ad esempio per ottenere un effetto di costolatura si applicava sul fondo di un vetro soffiato una copertura in vetro a forma di calotta e si sottoponeva la composizione a soffiatura in uno stampo costolato aperto.
La soffiatura in stampo era comunque usata per conferire agli oggetti forme particolari: gli stampi erano di argilla, legno pietra o metallo e potevano essere composti da un pezzo unico e più pezzi, in funzione della specifica forma da realizzare.
Una tecnica risalente al XVI secolo è la lavorazione “vetro ghiaccio”, manufatto la cui superficie risulta irregolarmente coperta di screpolature, pur mantenendo le sue caratteristiche di trasparenza. L’effetto si ottiene inserendo il semilavorato proveniente dalla soffiatura in acqua fredda e riportandolo subito a riscaldamento per richiudere le screpolature superficiali. Una volta stabilizzato l’effetto superficiale, il pezzo viene soffiato e lavorato fino alla forma desiderata.
Delle lavorazioni tipiche del XX secolo ricordiamo quattro tecniche: incalmo, vetro primavera, vetro pulegoso e vetro sommerso.
L’incalmo è la tecnica che permette di realizzare pezzi composti di due parti di diversi colori: i due singoli elementi vengono lavorati separatamente e quindi uniti, mediante “incalmo” appunto, ovvero facendo aderire e saldando il bordo delle due estremità. La tecnica è molto delicata perché sul pezzo ultimato non deve essere visibile il punto di unione, e per questo le due parti devono essere lavorate in modo che i bordi da saldare combacino perfettamente.
Vetro primavera e vetro pulegoso sono due prodotti creati dall’inventiva di due maestri vetrai veneziani, rispettivamente Ercole Barovier e Napoleone Martinuzzi.
Il vetro primavera è prodotto con una tecnica analoga a quella del vetro ghiaccio ed è caratterizzato dall’assumere una superficie traslucida e ricoperta di screpolature; il vetro pulegoso ha una caratteristica opacità dovuta alla presenza nella massa di un numero molto elevato di bollicine di dimensioni diverse. Il vetro pulegoso viene ottenuto aggiungendo sostanze organiche che decomponendosi liberano bolle di gas.
La tecnica del vetro sommerso permette di realizzare pezzi di notevole spessore che conferiscono il senso di profondità dell’oggetto. Un primo bolo di vetro viene lavorato e soffiato fino a conferirgli un primo abbozzo della forma finale, quindi viene immerso in un crogiolo contenente vetro trasparente ed estratto facendo gocciolare l’eccesso. Il pezzo viene lavorato eventualmente anche con applicazioni e quindi può nuovamente essere rivestito e soffiato. Giocando su trasparenza e colorazione degli strati successivi si ottiene l’effetto di rilievo e profondità.